di ATROPINA
Al di là dei numeri, delle
statistiche, del risultato, la partita di ieri sera ha regalato al pubblico del
Mundialfrass l’emozione di una vera sfida: quella tra i due capitani, Batto e
Pucce.
Entrando nello stadio avverto un’insolita tensione, e
capisco che sto per assistere ad un evento. Scorgo un Batto agitato, che dà
istruzioni al suo portiere gesticolando come un tarantolato. Nell’altra metà
campo un flemmatico Pucce trascura il riscaldamento e confabula con i suoi
compagni, guardando di sottecchi gli avversari. Qualche battuta tra i due nei
pressi del cerchio di centrocampo, ma è cortesia, finzione: un fischio
dell’arbitro e le cose cambieranno.
Il sibilo arriva e i due si caricano sulle spalle
quell’immensa responsabilità che nel calcio è sintetizzata con la famosa regola
“primo: non prenderle”. Decidono di sacrificare per un attimo le loro doti
offensive, dando una mano dietro e sganciandosi raramente in attacco. Gli
schemi e il destino vogliono che i due curino la loro fascia sinistra, e così
non si incontrano mai. Ma si annusano a distanza.
Batto apre le marcature con una gran goal che lascia di
sale gli avversari. Tre minuti di lotta dura e Pucce riporta il risultato in
pareggio con la sua solita bomba fortunosa dal centrocampo, esplodendo in un
urlo smodato. Il messaggio è chiaro: è duello all’ultimo sangue, senza pietà e
senza tregua.
Si sono studiati, si son presi le misure, e finalmente è
tempo di spettacolo. Batto –un giocatore del quale non ho ancora capito se sia
peggio giocarci con o giocarci contro- è nervoso, e scuote a paroloni i suoi
svogliati compagni di squadra, che non rispettano le consegne. Pucce può
contare invece su una squadra più solida, con due fuoriclasse mica da ridere,
quindi non deve urlare più di tanto e si concede anche il lusso di tirar fiato
in panchina per cinque minuti. I ragazzi di Pucce –pur penalizzati da un
arbitraggio approssimativo- la buttano sempre dentro e ben presto dilagano,
portandosi in vantaggio di tre reti. La partita pare chiusa, ma la sfida no.
L’intervallo è una fotocopia del pre-partita. Batto
chiarisce alcune cose col difensore che aveva appena strigliato duramente. Un
sorriso tra i due mi dice che la tensione si sta allentando e preannuncia
grandi cose. Pucce prende fiato e sente la vittoria ad un passo, ma non si
illude certo.
Il secondo tempo prende il via, coi suoi battibecchi, i
suoi spintoni e qualche sprazzo di bel calcio. I bianchi di Pucce calano, ma
ogni volta che i neri raggiungono il pareggio, rispondono fulmineamente con un
nuovo vantaggio. Poi il magico meccanismo si ferma e la squadra di Batto va in
vantaggio, un vantaggio sempre più consistente. Muscoli, bestemmie, falli e
proteste. E finalmente lo scontro fisico tra i due: Batto chiude in fallo
laterale sulla fuga in fascia di Pucce. Un intervento sulla palla che coivolge
anche la gambetta di Pucce. Ed è lite, lite che sembra spazzar via in due
secondi quell’amicizia decennale tra i due. Batto si spiega, ma Pucce non sente
ragione. Sarà silenzio fino a fine partita, fino alla vittoria di Batto. Un
Batto che nasconde l’immensa felicità della rimonta mentre stringe le mani agli
avversari. Mentre Pucce, nero come il carbone, si rifugia negli spogliatoi
imprecando contro chiunque gli capiti a tiro.
Questa sera ho assistito ad un duello. Non capita spesso.